La viticoltura e il vino hanno origini antichissime tanto che già i Sumeri utilizzavano la foglia di vite per rappresentare la vita umana. Nel mondo greco, il vino era considerato un dono degli dèi e fu lo stesso Dioniso, dio della vite, del vino e del delirio mistico, a introdurre la coltura della vite sulla terra.
Gli Etruschi, i Greci e i Romani non bevevano mai vino schietto, poiché questo non era considerato una bevanda, ma una sorta di materia prima utilizzata come base per preparare le bevande “vere”, mescolandolo con acqua e aromatizzandolo con erbe, spezie, miele e profumi; il verbo “miscere”, infatti, in latino significa “versare”, ma anche “mescolare”. I Romani bevevano molto spesso il mulsum, un vino mielato condito con pepe e il vino aromatizzato con la mirra; quello condito con il mirto, invece, come ci ricorda Catone, era preparato solo a scopo medicamentoso. Un altro metodo per aromatizzare il vino, ricordato anche da Apicio, era quello di mettervi in infusione petali di rosa, ottenendo il rosatum, cui si doveva aggiungere del miele prima di utilizzarlo. Se poi al posto dei petali di rose, si utilizzavano quelli di viole, si otteneva il violacium.
Nel III secolo, l’imperatore Eliogabalo introdusse l’uso di aromatizzare il vino con la resina di lentischio, un arbusto tipico della macchia mediterranea dall’intenso profumo resinoso e aromatico, o con la menta, e corresse il sapore del rosatum, aggiungendovi un trito di pigne.
Nelle abitudini conviviali era molto importante saper individuare le corrette proporzioni tra acqua e vino, che dipendevano dal tipo di vino servito, dal cibo e dal clima del banchetto. A Roma e in Grecia, queste decisioni erano prese dal padrone di casa o da un convitato (magister bibendi), che aveva l’incarico di determinare quante parti di vino e quante di acqua dovevano essere mescolate nelle caraffe. Questo gesto aveva una sua sacralità e, secondo la tradizione, era stato Dioniso stesso, durante la sua permanenza in Attica, a insegnarne l’arte al mitico re di Atene Anfizione, per evitare che gli uomini cadessero ubriachi sotto il peso del vino. Questa capacità di dominare il vino, di farne buon uso e di goderne, invece di esserne sopraffatti, fu sentita dai Greci e dai Romani come una delle principali caratteristiche alimentari della civiltà: solo i barbari bevevano vino puro, non possedendo la cultura per dominarne gli effetti. Solo al termine della cena, lontani dalle tavole e dal cibo, si poteva assaggiare un po’ di vino schietto.