In epoca storica, il sistema onomastico romano è documentato sia dall’epigrafia che dalla storiografia.
-
Onomastica dei liberi nati da padre libero
Il nome degli uomini liberi era composto da tre elementi: praenomen, nomen (gentilizio) e cognomen. Se si fa riferimento ai documenti ufficiali gli elementi però erano cinque.
Il primo elemento è il praenomen che viene abbreviato con la sua lettera iniziale. Il secondo elemento è il nomen della gens, il clan familiare, che non è mai abbreviato, a meno che non si tratti di un nomen particolarmente diffuso e senza alcun valore distintivo (per esempio Flavius, Aurelius, Claudius, ecc.). Il terzo elemento è la filiazione (patronimico), ovvero il riferimento al padre, al nonno o al bisnonno (al genitivo) e concorda con il praenomen. Il quarto elemento è l’indicazione della tribù di appartenenza, che serviva a registrare i cittadini, mentre il quinto elemento è il cognomen.
Ecco un esempio:
CAIUS CALPURNIUS LUCII F(ILIUS) PUPINIA TRIBU PISO
Praenomen nomen filiazione tribù cognomen
I praenomina erano i nomi personali, ma erano pochi, di cui alcuni desueti, e in uso in poche famiglie:
AULUS A
APPIUS AP
CAIUS C
CNAEUS CN
DECIMUS D
KAESO K
LUCIUS L
MARCUS M
MAMERCUS MAM (Emilii)
MANIUS M’, M (Acilii)
NUMERIUS N
PUBLIUS P
QUINTUS Q
SERVIUS SER
SERGIUS SERG
SEXTUS SEX
SPURIUS SP (inizialmente indicava un figlio illegittimo)
TITUS T
TIBERIUS TI, TIB
VIDIUS V
In alcune famiglie aristocratiche si affermò la moda di adottare come praenomen un cognomen. Vediamo per esempio il caso di Germanico: prima di essere adottato da Tiberio, Germanicus era il cognomen, che diventò il praenomen in seguito all’adozione. A partire dal III secolo d.C., il praenomen spesso è omesso fino a che non sparisce del tutto.
La filiazione non serviva solo a scopi pratici, ma anche per distinguere gli omonimi e spesso l’indicazione della filiazione era anche un elemento di vanto personale. A seconda dell’ambiente e della classe, la presenza della filiazione aveva un peso ed era un segnale importante perché richiamava le glorie familiari. In ambiente provinciale esibire la filiazione significava che già il padre o il nonno era un cittadino romano e la mancanza di questo elemento era visto come sospetto, perché esprimeva la volontà di non voler dichiarare qualcosa; la filiazione del liberto, per esempio, doveva fare riferimento al proprio padrone.
L’editto di Caracalla del 212 d.C. concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero e la filiazione fu omessa.
Servio Tullio creò 4 tribù urbane, che presero il nome dai colli, dove la popolazione era distribuita in base al domicilio. Seguì poi la creazione di 17 tribù rustiche (con i nomi delle antiche gentes originarie esistenti o estinte), dove il criterio di appartenenza si fondava, oltre che sul domicilio, anche sulla proprietà fondiaria. I cittadini proprietari di un fondo erano iscritti nella tribù cui apparteneva il distretto rurale in cui era situato il fondo, mentre i nullatenenti erano iscritti nelle quattro tribù urbane.
Le tribù erano nate come ripartizione a scopo anagrafico ed elettorale e l’appartenenza a una tribù piuttosto che a un’altra era importante. Servio ne istituì 4 urbane e 17 rustiche e dopo la guerra sociale dell’88 a.C. l’iscrizione alle tribù fu estesa a tutti gli Italici. Nel corso del IV e III secolo A.C. furono create altre tribù. Le ultime risalgono al 241 a.C. e in totale erano 35 (4 urbane e 31 rustiche). L’appartenenza a una tribù era considerato un elemento tramandato di padre in figlio, così anche se qualcuno si trasferiva dalla campagna alla città, la tribù rimaneva la stessa.
In età imperiale nacquero le pseudo-tribù: al momento dell’arruolamento delle legioni, ogni legionario doveva fornire le proprie generalità, e molti che venivano dalle province, avevano idee vaghe sull’appartenenza a una tribù e dichiaravano tribù inesistenti. Ci sono una ventina di tribù nate in questo modo.
Il cognomen nasce per designare o il singolo individuo o la famiglia. Quando indicava la persona si poteva avere anche il doppio cognomen, per esempio SCIPIONE ASIDIO AFRICANO.
Il secondo cognomen è l’elemento più recente, nasce all’interno delle famiglie aristocratiche e si diffonde per imitazione anche nelle famiglie delle classi inferiori. Tra gli schiavi e i liberti, i cognomina erano necessari per capire di chi si stesse parlando e i cognomina dei liberti corrispondevano al loro nome da schiavi.
L’uso generalizzato del cognomen si ebbe a partire dalla dinastia Giulio-Claudia. Possiamo affermare che dalla metà del I secolo non c’era cittadino che non avesse cognomen.
La terminazione –ANUS poteva avere significati diversi: poteva indicare un’adozione (per esempio PUBLIO CORNELIO SCIPIONE EMILIANO), oppure poteva essere il gentilizio della madre, adottato per segnalare l’importanza della famiglia materna (per esempio MARCO PORZIO CATONE LICINIANO).
In epoca più recente diventò una regola che ogni persona avesse due gentilizi, uno del padre e uno della madre, e da quel momento diventò difficile capire se si trattasse di un gentilizio derivato da un’adozione o meno. In epoca imperiale, quando si diffuse l’uso dei POLIONIMI, ovvero l’accumulazione di più gentilizi da parte di un personaggio, diventò impossibile capire l’origine dei gentilizi, ma sono comunque utili perché aiutano gli storici a capire i rapporti familiari, la carriera militare e la ricerca prosopografica.
In età imperiale ai soldati si aggiunse anche un nome che si riferiva alla loro città di origine (nelle iscrizioni all’ablativo o al locativo); questo sistema però si scardinò in seguito all’editto di Caracalla e migliaia di cittadini assunsero il gentilizio dell’imperatore (Aurelii). Per questo motivo si iniziò a omettere o ad abbreviare il gentilizio, così come il praenomen e la filiazione e gradualmente si arrivò al sistema tardo-antico con un nome unico e il soprannome.
-
Onomastica della donna
La donna era in condizione di inferiorità, era esclusa dalla vita pubblica e aveva un ruolo subalterno. La formula onomastica della donna era limitata al solo gentilizio al femminile, ad esempio IULIUS => IULIA. Gradualmente si aggiunse il gentilizio del padre e poi del marito quando la donna si sposava. A partire dalla tarda età repubblicana, si aggiunse anche il cognomen per distinguere due sorelle.
-
Onomastica degli schiavi e dei liberti
Lo schiavo aveva un nome unico, che in molti casi era di origine straniera (greca, germanica o tracia) e in alcuni casi anche uno schiavo proveniente dall’Oriente poteva avere un nome greco. Spesso il nome dello schiavo era un nome latino, di solito un nome praescriptus, un nome augurale come FELIX o FORTUNATO, seguito dal nome del padrone al genitivo (per esempio PANPHILUS SERVILLI) e nelle forme più arcaiche compare anche l’indicazione del padrone (PANPHILUS SERVILLI M(ARCI) SERVUS). Uno schiavo poteva avere anche un doppio nome, nel caso fosse stato ceduto a un altro padrone.
Per i liberti la formula comprendeva quattro elementi, mancava la tribù e la filiazione era una specie di patronato (libertus invece di filius). A partire da Augusto fu stabilito che ogni liberto doveva avere il praenomen del padrone o dei padroni se il liberto era stato proprietà di più persone. Per lo schiavo di una donna era più complicato perché la donna non aveva praenomen, quindi si ricorreva a un praenomen fittizio, GAIA => GAIUS, che si indicava con una C rovesciata. Il liberto prendeva il praenomen del padre della padrona, mentre le liberte non avevano praenomen.
-
Onomastica degli imperatori