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L’anfora argentea di Baratti

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“Oggi [Populonia] è una piccola città completamente abbandonata, tranne i templi e poche case; più popolata è la zona del porto, che dispone di un ampio bacino ai piedi del colle e di due arsenali… è il miglior punto di imbarco per le tre isole suddette [Elba, Sardegna e Corsica].”

Strabone (Geogr. V, 2, 6)

L’episodio che segnò l’inizio di un lento e progressivo declino di Populonia si ebbe con le guerre intestine di Mario e Silla. La città infatti si schierò dalla parte di Mario, che poi fu sconfitto; Silla decise dunque di punirne gli alleati e distrusse la città. Era il I secolo a.C.

Quando lo storico romano Strabone alla fine di quello stesso secolo visitò Populonia rimanevano vivi e popolati solamente i quartieri industriali sul mare, le borgate lungo la spiaggia di Baratti e sui promontori che circondano il porto…

Una mattina di marzo del 1968, il peschereccio “La bella Michelina” riportò a galla con le reti uno strano oggetto, simile a una fiasca, ricoperto di incrostazioni marine e deformata, che dopo un lungo, difficile e delicato restauro svolto dal Centro di Restauro della Soprintendenza di Firenze, rivelò a tutti la sua  straordinaria unicità.

Si trattava di un’anfora, le cui anse erano andate perdute, conservata in fondo al mare dove era finita in seguito al naufragio di una delle tante navi che frequentavano il vivace porto di Populonia.

L’anfora è in argento quasi puro (94-96%), del peso di 7,3 chili, con un diametro massimo di 34,7 centimetri, alta 61, e dalla capacità di oltre 22 litri.

L’aspetto più spettacolare è la sua decorazione, formata da 132 medaglioni disposti su dieci file: due sul collo per un totale di 12 medaglioni, una fila con 8 medaglioni alla base del collo e sette file di 16 medaglioni ciascuna sul corpo. I medaglioni hanno forma ovoide che richiama quella delle gemme.

Il risultato è un’anfora completamente ricoperta di cammei meravigliosamente decorati a rilievo, con una corona di quercia avvolta alla base del collo e fermata da un fiore.

i primi due registri che si trovano sul collo rappresentano le personificazioni dei mesi e dei segni dello zodiaco; mentre quello alla base del collo le personificazioni delle stagioni e delle regioni del mondo  (Ionia, Frigia, Lidia, Egitto o Europa, Africa, Persia e India).

Dal punto di vista iconografico, le divinità orientali Mitra (della Persia) e Attis (della Frigia) , legate ai miti della resurrezione e della salvezza delle anime, preannunciano il profondo messaggio abilmente inciso sull’anfora 1600 anni fa.

Nei primi due registri che si trovano sulla spalla troviamo raffigurati suonatori e danzatori e personaggi del corteo di Dioniso, alcuni in preda all’estasi dionisiaca.

Il cuore della raffigurazione è formato dal terzo e quarto registro, con la manifestazione di tutti gli dèi primordiali, dell’Olimpo, Cibele, Attis e Mitra, tutti insieme per comunicare un messaggio di salvezza, rassicurando i mortali sulla possibilità di raggiungere la rinascita, l’immortalità e la comunione con il divino.

Nel corteo delle divinità spiccano Attis e Cibele, protagonisti del corteo che evocano la rinascita del mondo, Venere, Eros e Dioniso a testimoniare che il contatto col divino può avvenire solo con l’amore e  attraverso i riti  che conducono all’estasi dionisiaca, ottenuta con musica, danza e vino, probabilmente contenuto nell’anfora.
Solo così i mortali possono aspirare all’immortalità evocata dal mito di Amore e Psiche.

L’anfora molto probabilmente non apparteneva a un cittadino privato ma era utilizzata in cerimonie e riti religiosi.

L’anfora quindi, oltre al vino, conteneva qualcosa di ben più profondo e universale… un ultimo silenzioso messaggio di un mondo ormai destinato a soccombere al Cristianesimo.

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