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La mummia urlante

La mummia urlante
Nicoletta Pagliai

Nuove indagini scientifiche condotte sulla celebre mummia egizia della donna urlante, ritrovata negli anni Trenta vicino a Luxor, dimostrano che l’agghiacciante espressione del suo volto non sarebbe dovuta alle tecniche di imbalsamazione, bensì agli spasmi di dolore che 3.500 anni fa la condussero alla morte all’età di 48 anni.

La sua ‘cartella clinica’, che non risolve ancora il mistero della causa del decesso, è ricostruita in uno studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Medicine dalla radiologa Sahar Saleem, dell’Università del Cairo, e dall’antropologa Samia El-Merghani, conservatrice delle mummie del ministero egiziani del Turismo e delle Antichità de Il Cairo.

La mummia urlante, conservata al Museo egizio del Cairo, è stata ritrovata durante una spedizione archeologica organizzata nel 1935 dal Metropolitan Museum di New York nel sito di Deir Elbahari, vicino a Luxor. Il sarcofago di legno venne scoperto in una camera funeraria al di sotto della tomba di Senmut, l’architetto e sovrintendente dei lavori reali nonché presunto amante della regina Hatschepsut.

La mummia di donna conservata al suo interno stupì subito per l’espressione del volto, come immortalato in un urlo di dolore. La questione sollevò un acceso dibattito tra gli archeologi, divisi tra chi sosteneva che fosse il frutto di un’imbalsamazione approssimativa e chi invece optava per un’espressione di dolore fisico legato a uno stato di agonia.

Per risolvere la questione, le ricercatrici egiziane hanno virtualmente dissezionato la mummia utilizzando la Tac e hanno cercato di risalire ai materiali usati per l’imbalsamazione attraverso altre tecniche di analisi come la microscopia a scansione elettronica, la spettroscopia e la diffrazione a raggi X.

I risultati delle analisi indicano che la mummia si trova ancora in buone condizioni di conservazione. La donna, alta un metro e 54 centimetri, aveva 48 anni al momento del decesso: aveva già perso diversi denti e soffriva di artrosi alla colonna vertebrale. Sul suo corpo non sono stati rinvenuti segni di incisione praticata durante l’imbalsamazione, e infatti gli organi interni come cervello, polmoni, reni e fegato non sono stati rimossi, a differenza di quanto previsto dai metodi di mummificazione in uso durante il Nuovo Regno.

Le analisi condotte sulla pelle dimostrano che la donna era stata imbalsamata con ginepro e incenso, materiali costosi che dovevano essere importati rispettivamente dal Mediterraneo orientale e dall’Africa orientale o dall’Arabia meridionale. Allo stesso modo, i suoi capelli naturali erano stati tinti con henné e ginepro.

La lunga parrucca, realizzata con fibre di palma da datteri, era stata trattata con cristalli di quarzo, magnetite e albite, probabilmente per irrigidire i capelli e conferire loro il colore nero simbolo di giovinezza.

Tutti questi elementi sembrano escludere che la donna sia stata sottoposta a un’imbalsamazione poco accurata. “L’espressione facciale della mummia potrebbe essere interpretata come uno spasmo cadaverico, il che implica che la donna morì urlando di agonia o dolore”, conclude Saleem.

Giovane e di bell’aspetto

Per la prima volta, dopo 3.500 anni, è possibile vedere il “vero” volto dell’antica mummia urlante egizia, morta presumibilmente urlando di agonia. Cicero Moraes, esperto di grafica brasiliano, ha ricostruito infatti le sembianza della mummia ritrovata nel 1935 a Deir Elbahari, in Egitto, nella tomba di famiglia dell’architetto reale Senmut. Il risultato sorprendente, raggiunto grazie alla combinazione di diversi approcci, è un “volto gradevole”, come lo definisce Moraes. Le immagini e la descrizione del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista OrtogOnLineMag.

“Ho utilizzato una tecnica che combina elementi delle scuole tradizionali di ricostruzione facciale con nuovi approcci basati sui dati di scansione TC di persone viventi”, spiega l’esperto. “Queste proiezioni ci permettono di scoprire i limiti spaziali di strutture come l’orecchio, gli occhi, il naso, la bocca e simili. Inoltre, alcune strutture – continua – vengono tracciate anche di profilo, come il naso e la faccia laterale. I dati sono stati completati dalla tecnica di deformazione anatomica, in cui la testa di un donatore digitale virtuale viene adattata al cranio per creare un’approssimazione. In genere, esiste una compatibilità tra tutti i dati, con piccole differenze, quindi il risultato finale è un’interpolazione di tutte le informazioni”

Moraes ha creato diverse versioni del volto. Una è oggettiva, con gli occhi chiusi e in scala di grigi, per evitare di esprimere giudizi sul tono della pelle o sul colore degli occhi. Un’altra è più soggettiva e mostra la donna come sarebbe potuta apparire in vita, a colori, con indosso la parrucca con cui fu sepolta. E una terza cattura il suo urlo, rivelando come avrebbe potuto apparire quando fu sepolta per la prima volta.

fonte: agi.it

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