L’Iliade e l’Odissea, tradizionalmente attribuiti a Omero, sono ambientati approssimativamente in età micenea, ma si ritiene che le storie narrate abbiano avuto origine intorno all’VIII secolo a.C. I riferimenti accurati alla civiltà micenea riscontrabili in Omero sono probabilmente il risultato di tradizioni trasmesse oralmente, combinati con invenzioni e con altri elementi post-micenei e adattamenti d’epoca classica, e per questi motivi il loro valore storico è molto limitato.
Ciò che sappiamo dell’esercito miceneo, quindi, lo dobbiamo quasi esclusivamente all’archeologia. Le testimonianze giunte fino a noi comprendono affreschi, lapidi funerarie, oggetti preziosi, fonti letterarie (tavolette in lineare B) e ritrovamenti di armi ed equipaggiamenti bellici. Paragonato a quello delle civiltà contemporanee, egizia e ittita, il complesso delle testimonianze è molto scarso, in ogni caso siamo in grado di ricostruire la struttura dell’esercito miceneo in maniera dettagliata.
Vertici di comando e organizzazione dell’esercito
La Grecia micenea, era composta da piccoli stati autonomi governati da capi indipendenti. Esistevano forse dei legami familiari, ma non si sa niente di preciso riguardo i rapporti tra un centro e l’altro. In tempo di guerra, si formavano patti o alleanze tra i vari palazzi e il capo (wanax) di uno di questi, appartenente quindi alla classe più elevata della società, ricopriva anche la carica di capo dell’esercito ed esercitava un’autorità suprema sulle forze combattenti. Immediatamente sotto il wanax vi era il “capo dei combattenti” (lawaketa o eqeta), una figura esclusivamente militare che era il vero stratega dell’esercito, anch’esso appartenente ad un ceto elevato e forse membro dellla stessa famiglia del wanax.
Al di sotto di queste due cariche operavano i comandanti dei reggimenti e gli amministratori delle province (basileis). Il palazzo fungeva allo stesso tempo da centro amministrativo, di comando e di rifornimento per l’esercito.
Riguardo le dimensioni dell’esercito miceneo, purtroppo non sappiamo da quante unità fosse formato, ma le tavolette in lineare B di Pilo, risalenti al XIII secolo a.C., ci danno alcune informazioni circa la sua organizzazione. Sappiamo che le truppe erano sempre divise in multipli di dieci, ed è interessante osservare che l’uso del sistema decimale per l’organizzazione delle unità era molto comune nell’Età del Bronzo; gli ufficiali ittiti, per esempio, erano a capo di reparti composti da mille e diecimila uomini, in una gerarchia ascendente di comando, in base alla quale ogni rango di comando più elevato era responsabile di un numero crescente di soldati.
L’esercito fino al XIII secolo a.C.
Le prime armi usate dagli abitanti della Grecia continentale furono fionde e archi, asce da battaglia e mazze di pietra per i combattimenti corpo a corpo durante gli scontri fra orde tribali. Gli esemplari più antichi di queste armi risalgono al Neolitico e alla prima Età del Bronzo.
Durante la media Età del Bronzo gli eserciti divennero più organizzati e le asce e le mazze vennero sostituite da spade e lance.
Tra il 1600 e il 1300 a.C., l’esercito era formato da fanteria pesante (lancieri), fanteria leggera e carri da guerra pesanti. Questo tipo di esercito era adatto a battaglie contro armate nemiche organizzate in modo analogo, ma spadaccini e fanti leggeri erano anche in grado di combattere su un terreno scosceso e di affrontare i “barbari” che venivano dalle regioni montagnose e semi-civilizzate fuori dal controllo miceneo.
La fanteria pesante era l’asse portante dell’esercito. Le truppe erano munite di lance, lunghe 3 metri e mezzo e con la punta di bronzo, e di spade. Il corpo era coperto interamente, dal collo ai polpacci, da un ampio scudo (a torre o a otto) e per questo il loro abbigliamento era ridotto al minimo (un gonnellino o un perizoma). Gli scudi erano fatti di vimini fissati a un telaio di legno e ricoperti da uno o più strati di pelle bovina, e venivano portati a tracolla per mezzo del telamon, una cinghia che passava diagonalmente sulla spalla sinistra, che permetteva di lasciare libere entrambe le mani.
Per quanto riguarda lo scudo a forma di otto (immagine 1), la funzione delle due rientranze centrali non ci è perfettamente nota; è probabile che fosse utile quando il lanciere pesante faceva ricorso all’arma secondaria, la spada da punta. Ciascun soldato aveva una di queste aperture sul suo lato destro, attraverso la quale poteva affondare l’arma contro il nemico mantenendo l’intero corpo protetto dallo scudo.
Tutti gli scudi a otto, come la maggior parte di quelli a torre, non avevano un profilo piatto, ma concavo, così da aumentarne la capacità deflettiva. In aggiunta avevano un umbone oblungo, in legno o cuoio, che permetteva di usare questi scudi anche come armi offensive; per questo, è probabile che lo scudo a otto sia un’evoluzione di quello a torre.
La testa era protetta da un elmo molto robusto fatto di zanne di cinghiale (immagine 2), sormontato da un pomello o una piuma e alcuni avevano anche un paracollo e/o un paraguance. Di questo particolare elmo ne abbiamo anche una descrizione di Omero, sebbene all’epoca in cui furono composti i poemi esso non fosse già più in uso:
Merione diede a Odisseo arco e faretra
e spada, e in capo gli pose un casco
Fatto di cuoio; con molte corregge, dentro,
era intrecciato ben saldo; di fuori denti bianchi
di verro, candida zanna, fitti, lo coprivano di qua e di là,
bene e con arte; in mezzo era aggiustato del feltro.
Iliade X, 260-265
Questi guerrieri pesantemente corazzati, posti spalla a spalla con diverse centinaia di commilitoni, grazie ai loro grandi scudi, formavano un muro capace di proteggere i soldati dell’intera linea di battaglia dal collo alle caviglie. Questa barriera rendeva le prime file quasi invulnerabili ai proiettili scagliati dai nemici e, allo stesso tempo, impediva alle frecce e alle pietre scagliate dai frombolieri nemici di colpire le retrovie. In queste formazioni profonde diverse file, la lancia di oltre tre metri e mezzo era perfetta per abbattere la fanteria avversaria o per difendersi contro i carri.
La fanteria leggera (schermagliatori, spadaccini e giavellottieri), in età storica, solitamente era formata dagli strati più bassi della società ed era la più povera e la meno rispettata, ma sembra che non fosse così presso i Micenei. Nell’“anello della Battaglia nella Vallata”(immagine 3), proveniente da una tomba a fossa di Micene, risalente alla seconda metà del XVI secolo a.C., sono ritratti due spadaccini che combattono eroicamente, mentre un lanciere rimane in disparte e si ripara dietro il suo grande scudo. Entrambi gli spadaccini indossano un elmo, ma uno dei due (quello a sinistra) indossa addirittura un elmo di zanne di cinghiale, lo stesso che Omero fa indossare a Ulisse.
La scena rappresentata su questo anello quindi ci offe non una ma ben tre indicazioni importanti sulla società micenea: prima di tutto ci informa che gli spadaccini erano una parte integrante dell’esercito, che erano tenuti in grande considerazione e che erano molto rispettati per il loro coraggio, forse anche più dei lancieri; in secondo luogo che anche questa tipologia di fanteria leggera indossava un elmo, e infine che alcuni di essi probabilmente godevano di uno status sociale elevato, tale da consentirgli di indossare l’elmo di zanne di cinghiale.
Per quanto riguarda I’equipaggiamento, i più leggeri in assoluto erano gli schermagliatori: essi non avevano nessuna corazzatura né protezione per la testa ed erano armati di frombola e arco; questo tipo di combattenti quindi non era impiegato nel corpo a corpo, ma il loro compito era quello di coprire il fronte della linea di battaglia nemica principale al fine di disperderla o provocarne lo sbandamento prima che venisse in contatto con la fanteria pesante amica.
Gli spadaccini, in mobilità, protezione e capacità offensiva, erano una via di mezzo tra la fanteria pesante e gli schermagliatori. Grazie alla loro flessibilità d’impiego, erano in grado di sostenere un combattimento corpo a corpo e di agire in formazione sparsa; erano quindi perfetti per i combattimenti su terreni accidentati e montagnosi.
I giavellottieri portavano 2 leggeri giavellotti e, al contrario degli spadaccini, erano senza armatura. Questo tipo di fanteria leggera poteva essere formata anche da mercenari nubiani, ma in ogni caso alla loro testa c’era sempre un ufficiale greco.
Nel XVI secolo a.C., il carro da guerra entrò nell’uso comune in un’area molto vasta che va dalla Grecia all’India, dal sud della Russia all’Egitto e probabilmente giunse in Grecia dal Vicino Oriente dopo la Media Età del Bronzo, in seguito a contatti commerciali. A differenza della gran parte della tecnologia militare, il carro non raggiunse la Grecia continentale attraverso Creta, ma l’opposto: esso, infatti, fece la sua comparsa sull’isola solo a metà del XV secolo.
Nonostante le pianure cui avevano accesso i Micenei fossero più irregolari e meno vaste di quelle del Vicino Oriente, questo non gli impedì di fare ricorso ai carri, che però erano più pesanti e robusti. Per tutta l’epoca micenea fu impiegato il carro a due cavalli e venne mantenuta la ruota a quattro raggi, ma fu resa più forte e resistente, e il timone venne rinforzato da un ulteriore palo di legno, posto in orizzontale e collegato al primo da bracci di supporto.
Il più antico carro comparso in epoca micenea è il carro a cassa squadrata, di origine siriana, così chiamato perché la cassa aveva le sponde rettangolari, che lo facevano somigliare a una scatola; le fiancate, probabilmente di vimini, arrivavano all’incirca all’altezza del bacino o poco più in basso.
Il carro a doppie sponde, utilizzato tra il 1450 e il 1200 a.C., è così chiamato perché la cassa era formata da due parti distinte. L’abitacolo vero e proprio e due sezioni, o “ali” laterali a base ricurva. Il pianale era a forma di D ed era fatto di larghe strisce di cuoio intrecciate che fungevano da sistema di sospensione per gli occupanti.
Le ali laterali probabilmente erano utili al momento di montare sul carro e come protezione dal movimento delle ruote nel caso in cui i cavalli avessero girato o scartato all’improvviso. Inoltre potevano servire da parafango contro la polvere e le pietre scagliate dalle ruote durante la corsa. Questi carri erano dipinti con varie tonalità di rosso e alcuni erano decorati con intarsi di avorio e probabilmente erano riservati a un uso cerimoniale.
Un altro modello di carro molto raro, noto solo da due incisioni, è il carro a cassa semicircolare; a differenza degli altri, questo carro è sempre raffigurato con un solo occupante e questo potrebbe significare che non era usato in guerra.
Alcuni specialisti ritengono che i carri da guerra fossero utilizzati solo nelle parate e per il trasporto dei guerrieri verso e dal campo di battaglia, ma alcune testimonianze dimostrano che il carro era usato anche in guerra. Una stele funeraria di Micene (immagine 4), risalente al XVI secolo, ad esempio, mostra un guerriero che dal carro trafigge con la lancia uno spadaccino. Questa testimonianza è molto importante perché ci dice che i carri non erano utilizzati solamente per affrontare carri nemici, ma anche per affrontare la fanteria.
L’alto numero di carri elencati nelle tavolette (più di 400) suggerisce che i Micenei ne facevano un uso massiccio e sembra improbabile che fossero destinati solo al semplice trasporto di nobili e comandanti, anche perché i carri da parata (trentatre carri con intarsi in avorio) sono elencati separatamente nelle tavolette. Sebbene tale numero di veicoli sia nettamente inferiore alle schiere di carri utilizzati dagli Egizi e dagli Ittiti sui campi aperti della Siria, non significa che i Micenei non avessero adottato il carro per uso bellico, e la topografia della Grecia, probabilmente, spiega perché i carri non costituirono mai l’asse portante della tattica micenea, come nel caso di Egizi e Ittiti.
I carri potrebbero essere stati utilizzati, ad esempio, per assestare il colpo di grazia al nemico che si ritirava o che si stava disperdendo, per aggirare la linea di battaglia avversaria o per inseguire una forza nemica ormai in rotta.
Gli Ittiti, ad esempio, utilizzavano il carro contro le truppe nemiche disordinate o accerchiate, schierandoli su uno o entrambi i fianchi; in questo modo sconfiggevano le truppe nemiche sui lati e aggiravano il fianco della loro linea di battaglia principale. È molto probabile, quindi, che anche i Micenei utilizzassero i carri nello stesso modo.
La cavalleria è l’unita militare di cui abbiamo il minor numero di testimonianze, tutte risalenti alla fine dell’epoca micenea, e il ruolo di questo tipo di guerrieri nell’esercito può essere solo ipotizzato poiché non possediamo né raffigurazioni né descrizioni di combattimenti che abbiano coinvolto la cavalleria. Nelle scarse raffigurazioni non sono visibili armi, e ciò può indicare che questi guerrieri non portavano lance o giavellotti, ma è probabile, anche se non possiamo affermarlo con certezza, che portassero una spada e che quindi combattessero come cavalieri.
L’esercito dopo il XIII secolo a.C.
Nel corso del XIII secolo il sistema militare subì notevoli cambiamenti per quanto riguarda l’equipaggiamento e la tattica. I grandi scudi che coprivano tutto il corpo e le lunghe lance caddero in disuso. La lancia micenea si accorciò notevolmente, raggiungendo i 150-180 centimetri di lunghezza, e furono introdotti due nuovi modelli di scudo che venivano retti con il braccio sinistro: lo scudo rotondo (aspis) e quello a mezzaluna capovolta (pelta), che permetteva al guerriero di correre senza che il bordo inferiore dello scudo sbattesse contro le cosce.
L’elmo di zanne di cinghiale rimase in uso fino al periodo tardo, ma vennero introdotti nuovi modelli, come l’elmo “cornuto” e l’elmo a “punte di riccio”, dei quali però non conosciamo i particolari poiché non ci è giunto nessun esemplare.
Per quanto riguarda le calzature, l’uso di sandali da parte dei guerrieri micenei è attestato solo nel periodo tardo, mentre nel miceneo antico si muovevano a piedi nudi.
La fanteria leggera non subì particolari trasformazioni perché non ne aveva bisogno: era la fanteria pesante che doveva diventare più mobile per poter affrontare le tattiche nemiche in trasformazione.
I carri da guerra divennero più leggeri e mobili. I pesanti carri a cassa squadrata e a doppie sponde cedettero il posto al carro a ringhiere, un veicolo molto leggero con le fiancate formate da un’intelaiatura aperta di sbarre con un profilo arrotondato, che arrivava all’incirca all’altezza del bacino . Questo comportò anche un cambiamento importante nella tattica dei carri micenei: ora i guerrieri doveva scendere dal carro per combattere, il che li rese una sorta di fanteria a cavallo. Il loro equipaggiamento (lancia corta, elmo, corazza, gonnellino, schinieri e scudo rotondo) divenne simile a quello della fanteria.
Durante gli scavi, condotti tra il 1939 e il 1966 a Pilo in Messenia, sono state trovato un gran numero di tavolette in lineare B e affreschi in tema militare che raffigurano un esercito più leggero, incentrato sulla mobilità. Questo potrebbe indicare un aumento delle incursioni da parte di predoni stranieri lungo le coste micenee. Nel XIII secolo, infatti, molte città eressero massicci bastioni di pietra intorno alle cittadelle e i capi militari di Pilo ordinarono il dispiegamento di truppe lungo la costa come difesa contro gli invasori provenienti dal mare.
Era l’epoca della Grande Migrazione che coinvolse quasi tutto il Mediterraneo orientale e che segnò il passaggio dall’Età del Bronzo all’Età del Ferro. La civiltà micenea era ormai da tempo in declino, e in seguito all’espansione dorica, rapidamente si dissolse.