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L’oracolo di Delfi

L’oracolo di Delfi
Nicoletta Pagliai

Il mito racconta che quando Zeus liberò due aquile, uccelli a lui sacri, agli antipodi della terra, queste s’incontrarono a Delfi. Qui si trovava l’“omphalos”, una pietra scolpita legata a questo mito, la quale indicava che Delfi era l’ombelico del mondo; nel VII secolo a. C., vi fu costruito il primo tempio dedicato ad Apollo, il cui oracolo diventò il più influente della Grecia, tanto che le varie poleis lottavano fra loro per ottenerne il controllo religioso, politico ed economico.

Il ministro di Apollo era la Pizia, una giovane vergine scelta tra tutte le donne di Delfi, che seduta su un tripode d’oro, in preda ad estasi mistica, emetteva suoni incomprensibili, interpretati dai profeti e da due sacerdoti, incaricati di dare il responso, in versi e anch’esso di difficile interpretazione.

Questo oracolo era meta di un vero e proprio pellegrinaggio che si svolgeva lungo le vie sacre che da Atene conducevano a Delfi. Nei pressi del tempio sgorgava una gelida sorgente sacra nella quale si purificavano i pellegrini e la stessa Pizia prima di pronunciare le profezie; la Via Sacra che da qui conduceva al santuario era fiancheggiata da circa 3000 statue e dai cosiddetti Tesori, dei tempietti costruiti dalle varie città-stato per accogliere le offerte dei loro abitanti.

La fiducia nell’oracolo di Delfi era diffusa in maniera stupefacente tra tutti i Greci, almeno fino all’epoca della conquista romana. La parte principale dell’attività dell’oracolo riguardava i temi politici e non era consultato solo dal singolo cittadino, ma anche dalle poleis per questioni molto importanti come la guerra o la fondazione di una nuova città. Lo stesso Solone, legislatore di Atene agli inizi del VI secolo a. C., riformò la costituzione ateniese tenendo in considerazione il vaticinio della Pizia: “… al centro della nave, prendi il timone e raddrizza il suo corso: ché molti in tuo aiuto avrai dell’illustre Atene …”. Anche i sovrani stranieri consultavano l’oracolo: famosa l’errata interpretazione che Creso, ultimo re di Lidia, fece dell’oracolo, secondo cui, se avesse combattuto contro i Persiani “un grande impero sarebbe caduto”; e così fu. Peccato però che l’impero che cadde non fu quello persiano, ma il suo!

Il santuario di Delfi godette sempre di un’indipendenza relativa e si trovò continuamente sotto il dominio ora dell’una ora dell’altra città greca egemone. Nel III secolo a. C., Filippo II il Macedone, conquistò il Peloponneso e mise fine all’indipendenza delle poleis, accelerando il processo di decadenza del santuario e dell’oracolo, ormai ridotti a uno strumento in mano agli egemoni di turno. Nel II secolo i romani dichiararono l’indipendenza di Delfi, ma nei secoli successivi si alternarono continue distruzioni e restaurazioni del tempio, fino alla cessazione di ogni attività nel 394, quando l’imperatore Teodosio proibì il culto di Apollo. Fu così che questo meraviglioso tempio, sede di competizioni sportive, letterarie e artistiche, simbolo dell’identità religiosa e del pensiero di tutta la Grecia, la cui importanza aveva varcato i confini greci, raggiungendo perfino l’Egitto, fu chiuso per sempre.

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