L’uso di radersi la barba è attestato fin dalle epoche più remote da vari ritrovamenti archeologici: in Italia, in contesti etruschi e italici, sono stati rinvenuti reperti riconoscibili come rasoi; purtroppo lo stesso non si può dire per il mondo romano, per il quale i ritrovamenti sono relativamente rari e questo potrebbe avere varie spiegazioni.
La motivazione principale potrebbe essere che i rasoi di epoca romana (a lama tondeggiante a “paletta” come quello conservato nel Museo di Aosta) erano fatti di ferro sottile, e dunque soggetti a corrosione e distruzione e sono giunti fino a noi in numero limitato. Quelli etruschi, o anche precedenti, per esempio erano di bronzo e ci sono giunti in molti casi totalmente integri. Spesso dei singoli oggetti si sono conservati solo i manici di bronzo, non sempre identificabili come manici di rasoio, a causa soprattutto delle forme inusuali.
Coltellini di epoca romana
La scarsità di evidenze archeologiche di rasoi a “paletta” anche in contesto militare, nonostante l’alta concentrazione di uomini, potrebbe dipendere dal fatto che nei campi legionari o ausiliari, dove era raccomandato, per motivi igienici e pratici, il taglio dei capelli e presumibilmente anche della barba, più soldati condividessero lo stesso oggetto.
È probabile anche che ci fossero dei barbieri al seguito dei soldati, oppure che i soldati usassero per la rasatura coltelli e coltellini, dei quali invece abbondano i ritrovamenti.
Del resto, non è raro ancora oggi che all’occorrenza, un soldato, si faccia la barba con qualunque cosa, anche con coltelli destinati a altri usi.
Coltelli e coltellini che potrebbero configurarsi come rasoi sono stati rinvenuti in tutto il mondo romano, sia in contesti civili che militari. In questo caso i ritrovamenti archeologici sono più significativi, poiché, nonostante si tratti comunque di oggetti con lama di ferro, nel caso dei coltelli la lama è più spessa e quindi meglio conservata.
Rasoi a paletta di epoca romana
I primi barbieri (tonsores) giunsero dalla Sicilia intorno al 300 a.C. (Varrone ,De re rustica, II) e l’abitudine di affidarsi al tonsor si è affermata gradualmente: i Romani, come i Greci, avevano portato a lungo la barba; i Greci poi se la tagliarono su imitazione (o per ordine) di Alessandro Magno, e i Romani fecero la stessa cosa centocinquant’anni dopo.
I primi uomini celebri che introdussero questa pratica furono Scipione l’Africano e Claudio Marcello e molti uomini, cominciarono a tagliarsi la barba con la comparsa dei primi peli bianchi e dunque con l’età matura (Giovenale, VI).
Silla non portava la barba e anche Cesare si mostrava sempre raso di fresco, e così fu anche per Augusto.
Alla fine del I secolo, in pratica, radersi la barba per i potenti era diventato un dovere di Stato e anche la maggior parte dei Romani si recava presso il tonsor, da cui si facevano radere la barba e acconciare i capelli secondo la moda dettata dall’imperatore.
Nessuno si radeva da sé poiché i rasoi erano fragili e di poca durata, dovevano essere affilati continuamente e finivano presto distrutti dalla ruggine. Non esistevano lozioni preliminari, il barbiere applicava sulla pelle solo una spruzzata d’acqua e la rasatura era una vera e propria tortura tanto che i giuristi avevano addirittura previsto delle sanzioni pecuniarie in caso di spiacevoli incidenti.
Nonostante ciò, l’affluenza degli uomini era molto alta, tanto che la bottega del tonsor diventò anche un luogo di pettegolezzi, di maldicenze e informazioni. Il cliente si sedeva su uno sgabello e il barbiere si metteva all’opera: il taglio era eseguito con forbici di ferro e lasciava molto a desiderare, e per questo molti preferivano l’arricciatura ottenuta con un ferro scaldato sotto la cenere ardente. Alcuni clienti più vanitosi, chiedevano anche di essere “ringiovaniti” e il tonsor versava sui riccioli tinture e profumi e incollava sul viso dei nèi finti di stoffa per nascondere i difetti della pelle o per ravvivare un colorito troppo pallido, ma questo trucco così grossolano non faceva altro che scatenare le satire di Cicerone e di Marziale, che dice di un certo Rufo: “La sua chioma lucente empie il teatro di Marcello del suo profumo, mentre di nèi ha sulla fronte una galassia”.
I clienti potevano comunque scegliere tra un trattamento pieno di precauzioni, ma interminabile, o un supplizio rapido ma molto doloroso. Gli sfregi erano così frequenti che Plinio il Vecchio ci ha tramandato una ricetta contro le emorragie, secondo cui bisognava applicare sulle ferite delle tele di ragno bagnate in olio e aceto.
Ben presto la maggior parte dei Romani cominciò a mal sopportare la schiavitù del tonsor, così, quando l’imperatore Adriano si fece crescere la barba, i suoi sudditi e i successori furono felici di seguire il suo esempio.
Bibliografia:
M. C. Ronc, C. Rusalen, Il rasoio romano di Aosta: nuova attribuzione e nuovi spunti
J. Carcopino, La vita quotidiana a Roma