Senatori Romani
Il risveglio nell’Impero romano
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La toilette del romano

La toilette della matrona

La toilette della matrona
Nicoletta Pagliai

La donna romana, come l’uomo, andava a letto con la biancheria intima (il perizoma, la fascia al seno o la guaina), una o più tuniche, di lana o lino e in genere senza maniche e qualche volta il mantello. Anch’essa, quindi, il mattino, non aveva niente di particolare da fare, se non calzare i sandali e avvolgersi nell’amictus scelto, dopo aver fatto delle sommarie abluzioni.

I giuristi, stabilendo l’inventario delle successioni femminili, dividevano gli oggetti personali in tre categorie: la toilette (catini, specchi di rame, d’argento o di vetro ricoperto di piombo e, per le donne più fortunate, una vasca da bagno personale), gli ornamenta (pettini, spille, unguenti e gioielli) e il vestiario.

Acconciare la capigliatura della donna romana non era una cosa da poco: le acconciature semplici della Repubblica erano solo un ricordo ed erano comparsi i riccioli e le trecce disposte in diademi alti come torri! Per eseguire queste costruzioni monumentali era necessaria l’abilità delle acconciatrici (ornatrices), che sottoponevano le donne a sedute lunghe e dolorose. Il lavoro era molto più semplice, ma soprattutto indolore, per le donne calve, poiché su di esse le acconciatrici usavano trecce o parrucche posticce, talvolta anche di capelli veri provenienti dall’India.

Ma il compito dell’ornatrix non si fermava qui. Doveva anche depilare e dipingere la matrona: di bianco sulla fronte e sulle braccia, con gesso e biacca; in rosso sulle guance e sulle labbra, con ocra o feccia di vino; in nero le ciglia e il contorno degli occhi, con fuliggine o polvere di antimonio.

Dopo l’acconciatura dei capelli e il trucco, era la volta dei gioielli, incastonati di pietre preziose: il diadema, gli orecchini, la collana, i ciondoli, i braccialetti e gli anelli.

A questo punto, era compito delle cameriere far indossare alla matrona il sùpparum, una tunica femminile di lunghezza varia, ma non fino ai piedi che lasciava a vista la parte inferiore della subùcula.

La stola era invece una tunica ampia e lunga fino ai piedi, fermata alla vita da un cingulum, una cintura, e generalmente si faceva uso di un succingulum per formare un secondo kolpos (sbuffo di stoffa) più ricco all’altezza delle anche. In fondo alla stola era cucito un gallone ricamato in oro.

Il vestito delle donne si distingueva da quello maschile, non per la linea, ma per la ricchezza delle stoffe e per lo splendore del colore; al lino e alla lana erano preferiti il cotone e la seta, poiché oltre a essere più morbidi, leggeri e cangianti, si prestavano meglio alle manipolazioni degli offectores, capaci di colorare le stoffe utilizzando coloranti vegetali, minerali o animali, permettendo alle matrone di adattare i colori dei vestiti alla loro carnagione.

La palla era il classico mantello femminile. Di forma rettangolare simile al mantello greco, veniva indossata in modi svariati, talvolta anche poggiandone un lembo sul capo. Era l’equivalente del pallium maschile, ma con colori più vivaci.

La recta era una tunica bianca sprovvista di maniche, aderente alla vita e lievemente scampanata in basso. Era il vestito delle giovani spose romane, completato dal flammeum, ampio velo di color giallo fiamma (da cui il nome) da appoggiare sul capo e fatto scendere sul retro.

La donna romana, in mancanza di un diadema, passava tra i capelli un semplice nastro color rosso porpora; al collo portava un fazzoletto annodato e teneva legata al braccio la mappa, un altro fazzoletto che le serviva per detergere dal viso la polvere e il sudore. Il muccinium per soffiare il naso, invece, comparve alla fine del III secolo d.C.

In una mano agitava spesso un ventaglio di piume di pavone, con il quale scacciava anche le mosche, mentre nell’altra mano, nella bella stagione, teneva l’ombrello, di solito di un bel verde allegro. Gli ombrelli dei romani però non potevano essere chiusi e, quando tirava troppo vento, erano lasciati a casa.

Per proteggersi dalle intemperie poteva indossare un mantello con cappuccio, byrrus, un indumento che si è tramandato fino al giorno d’oggi in Nordafrica, chiamato burnus.

La toilette mattutina della matrona richiedeva quindi molto più tempo di quella maschile, ma questo non aveva grande importanza, poiché le donne non avevano molto da fare e condividevano con gli uomini solo gli svaghi della vita pubblica.

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