Per quanto riguarda la civiltà ittita, il sito che ci ha restituito più documenti è quello di Bogazkoy/Hattusa, la sua capitale; qui sono state rinvenute molte migliaia di testi tra cui anche molte narrazioni mitologiche sia di origine anatolica sia traduzioni in ittita di miti stranieri come ad esempio il testo del ciclo di Kumarbi pervenutoci in una versione bilingue in hurrico e in ittita.
Attualmente conosciamo cinque testi che compongono il ciclo di Kumarbi: la Teogonia o Regalità celeste, il Canto di Ullikummi, il Mito del drago Hedammu, la Regalità del dio KAL e il Canto di Argento. Essi narrano momenti diversi della lotta fra gli dèi per il potere, ma le condizioni estremamente frammentarie della maggior parte dei testi che ci sono giunti, non permette di stabilire un loro ordine di successione. La Regalità celeste però è considerata la prima composizione del ciclo perché vi è narrato il passaggio del potere da Alalu ad Anu a Kumarbi, e perché ha delle caratteristiche che lo rendono prioritario rispetto alle altre composizioni del ciclo, dal momento che contiene accenni ai motivi che saranno poi sviluppati negli altri canti.
La prima narrazione del ciclo racconta che il re degli dèi Alalu fu spodestato dal suo coppiere Anu, il quale dopo 9 anni fu a sua volta spodestato da Kumarbi. Anu cercò di fuggire in cielo, Kumarbi lo evirò con un morso ma Anu gli disse di averlo già ingravidato. Kumarbi cercò invano di liberarsi del seme di Anu e trascorse i mesi della gravidanza a Nippur.
Ed è con la nascita dei figli di Kumarbi che si rivela la vendetta di Anu. Kumarbi infatti generò una serie di figli, tra cui lo stesso dio della tempesta, Tarhunta, che toglierà la regalità al padre. Gli altri miti del ciclo narrano i tentativi compiuti da Kumarbi per riacquistare la supremazia.
Il canto di Ullikummi è particolarmente importante perché ci offre la raffigurazione in chiave mitologica e poetica delle concezioni degli Ittiti sugli inizi del mondo e sul destino ultimo di tutte le cose.
Vediamone il contenuto:
Kumarbi un giorno decide di creare un antagonista contro il dio della tempesta. Lascia la sua città, Urkis, e trovata una grossa roccia si unisce a lei.
(lacuna)
Il dio Mare invita Kumarbi ad un banchetto e si capisce che è dalla sua parte. Successivamente la roccia partorisce un bambino (di diorite) che viene deposto sulle ginocchia di Kumarbi, che con questo atto lo riconosce come figlio e lo chiama Ullikummi.
A questo punto Kumarbi assegna a Ullikummi il compito di distruggere il dio della tempesta Tarhunta, la sua città Kume, suo fratello Tesmisu e tutti gli dèi schierati con lui.
Kumarbi preoccupato che il dio Sole o il dio Luna scoprano e uccidano Ullikummi, lo fa porre dalla divinità Irsirra sulla spalla destra del gigante Upelluri. Ullikummi però cresce in modo spropositato, il dio Sole lo vede e va subito a dirlo al dio della tempesta. Quest’ultimo, insieme a Tasmisu e ISTAR si reca sul monte Hazzi per vedere il mostro di pietra. ISTAR sottolinea l’ottusità del mostro e crede di riuscire a sconfiggerlo ricorrendo alle arti femminili: va sulla riva del mare a cantare, ma ISTAR fallisce perché il mostro è cieco e sordo e se ne va piangendo.
(lacuna)
Qualcuno ordina a Tasmisu di prepararsi alla battaglia.
Segue una parte molto frammentaria in cui si narra l’inizio di una battaglia fra settanta dèi, guidati dal dio della guerra Astabi, e Ullikummi. Il mostro ha il sopravvento. Hebat, moglie di Tarhunta, impaurita, non avendo notizie del marito e del fratello, manda la sua serva a cercarli. La serva torna ma il contenuto del suo racconto è andato perduto.
Tasmisu annuncia la sconfitta a Hebat, si reca dal dio della tempesta a comunicargli che è in gioco la regalità celeste e suggerisce a Tarhunta di chiedere aiuto a Ea, dio della saggezza.
Dopo una lacuna molto ampia segue un colloquio tra Ea ed Enlil in cui quest’ultimo sembra non essere a conoscenza del mostro. Ea si reca da Upelluri che ignora di avere un mostro di pietra sulla spalla e ricorda anche di non essersi accorto di niente quando furono creati il cielo e la terra. Ea a questo punto si rivolge agli “antichi dèi” affinchè riportino fuori l’antico coltello con cui furono separati il cielo e la terra, per staccare Ullikummi dal gigante.
Ea dà un primo colpo al mostro, Tasmisu va contro Ullikummi, gli dèi sentono le grida della battaglia e si riuniscono per un attacco. Il dio della tempesta allora sale sopra il carro e si reca al mare dove avviene il combattimento.
Il testo si interrompe dopo un breve discorso di Ullikummi al dio della tempesta in cui lo incita a colpirlo.
Nel 2006 D.Groddek ha pubblicato due nuovi frustuli, che rielaborati con altri frammenti già conosciuti, hanno ampliato in maniera significativa l’ultima colonna della terza tavola del canto, e l’anno successivo ne ha pubblicato anche la traslitterazione con una parziale traduzione e un breve commento. Questa nuova acquisizione ha spinto gli studiosi ad una rilettura del discorso di Ullikummi a Tarhunta, arrivando alla conclusione che il canto termina con la terza tavola, anche se il colofone purtroppo è ancora del tutto perduto.
Le parole che Ullikummi rivolge a Tarhunta non sono quindi parole sprezzanti ma parole di rassegnazione: Ea ed Enlil gli sono avversi e lui non può opporsi alla loro volontà: <<Che devo dirti Tarhunta? Continua a colpire e fa ciò che è nella sua volontà, (perché) Ea, il dio della sapienza sta dalla tua parte …>>.
Il poema però si conclude con un augurio di speranza per Ullikummi: egli viene fatto a pezzi e i suoi organi schizzano da tutte le parti. Le righe successive sono frammentarie ma sembrano contenere uno scongiuro di Ullikummi affinchè un giorno le sue membra possano riunirsi in un nuovo mostro, definito “il forte”, per rinnovare la guerra contro Tarhunta, annunciando quindi non la continuazione del canto in una quarta tavola, bensì un altro episodio del ciclo di Kumarbi, ancora sconosciuto ma che speriamo possa essere presto individuato fra i documenti di Bogazkoy.
Bibliografia:
De Martino, Gli Ittiti
Pecchioli Daddi, A. M. Polvani, La mitologia ittita
F. Del Monte, La fine del Canto di Ullikummi, in Orientalia. Vol.79 pag 140-151