Prima della riforma di Cesare, la misurazione del tempo si basava sul calendario lunare. L’anno civile era di 355 giorni corrispondenti a dodici lunazioni e per rifasarlo sull’anno solare ogni tanto si inseriva un mese intercalare della durata di una ventina di giorni, basandosi sui calcoli che i sacerdoti facevano in maniera del tutto empirica. Col passare degli anni, il sistema adottato aveva determinato un tale sfasamento tra anno civile e anno solare, che nel 46 a.C., anno della riforma, la primavera capitava a Gennaio, in pieno inverno, anziché a Marzo e fu necessario aggiungere novanta giorni a quell’anno per riequilibrare nuovamente le stagioni.
Non è una cosa certa, ma è probabile che Cesare si sia rivolto all’astronomo Sosigene di Alessandria, il quale elaborò un nuovo calendario solare, ovvero basato sul ciclo delle stagioni.
Gli astronomi sapevano che la durata dell’anno solare era di 365,25 giorni, quindi si stabilì che il calendario avrebbe avuto 365 giorni e, per compensare l’eccesso di 0,25 giorni (6 ore), ogni 4 anni si sarebbe intercalato un giorno supplementare così da raddoppiare il 24 febbraio.
Poichè’ secondo la terminologia romana il 24 febbraio era il sesto giorno prima delle calende di marzo, il giorno aggiuntivo venne chiamato “dies bis sextus ante kalendas martias“, da cui derivò il suo nome “bisextilis” (bisestile), usato ancora oggi.
Con questa riforma quindi la differenza rispetto all’anno solare si ridusse da 5,8128 ore in difetto ad appena 11 minuti e 14 secondi in eccesso, una precisione molto accurata per l’epoca.
Questa differenza, pari a circa un centesimo di giorno, si accumulava però col passare dei secoli, per cui la data d’inizio delle stagioni si spostava man mano all’indietro (si perdeva un giorno ogni 128 anni circa). Questo fenomeno era ben noto agli astronomi medievali e per questo motivo nel 1582 fu introdotto il calendario gregoriano, che ha ridotto l’errore a soli 26 secondi (un giorno ogni 3.323 anni circa).
Il calendario giuliano come quello gregoriano era suddiviso in dodici mesi. Ogni mese aveva lo stesso numero di giorni che ha oggi ed era diviso in settimane, e ogni giorno della settimana era diviso in ventiquattro ore. A differenza dei babilonesi, per i quali iniziava all’alba, e dei greci, per i quali invece iniziava al tramonto, per i romani il giorno iniziava a mezzanotte, proprio come oggi. Le analogie con la nostra epoca però finiscono qua, perché le ore dell’epoca romana erano una realtà molto diversa dalla nostra.
I Greci, già nel V secolo a. C. avevano cominciato a misurare il tempo con il quadrante solare. Esso consisteva in una calotta di pietra, πόλος(polos), al centro del quale si ergeva uno gnomone (γνώμων). All’interno della superficie concava erano tracciati tre archi paralleli, due per i solstizi e uno per gli equinozi (la curva descritta dall’ombra del sole all’equinozio d’autunno coincideva con quella dell’equinozio di primavera). Queste tre linee concentriche erano a loro volta suddivise in dodici spicchi uguali (linee orarie).
