Costantino I, solido, zecca di LugdunumTicinum, 315 d.C.
La monetazione romana (II parte)
Les_Antiques
Glanum, una città riscoperta dopo 17 secoli

Sistema onomastico romano

Sistema onomastico romano
Nicoletta Pagliai

In epoca storica, il sistema onomastico romano è documentato sia dall’epigrafia che dalla storiografia.

  • Onomastica dei liberi nati da padre libero

Il nome degli uomini liberi era composto da tre elementi: praenomen, nomen (gentilizio) e cognomen. Se si fa riferimento ai documenti ufficiali gli elementi però erano cinque.

Il primo elemento è il praenomen che viene abbreviato con la sua lettera iniziale. Il secondo elemento è il nomen della gens, il clan familiare, che non è mai abbreviato, a meno che non si tratti di un nomen particolarmente diffuso e senza alcun valore distintivo (per esempio Flavius, Aurelius, Claudius, ecc.). Il terzo elemento è la filiazione (patronimico), ovvero il riferimento al padre, al nonno o al bisnonno (al genitivo) e concorda con il praenomen. Il quarto elemento è l’indicazione della tribù di appartenenza, che serviva a registrare i cittadini, mentre il quinto elemento è il cognomen.

Ecco un esempio:

CAIUSCALPURNIUSLUCII F(ILIUS)PUPINIA TRIBUPISO
praenomennomenfiliazionetribùcognomen

I praenomina erano i nomi personali, ma erano pochi, di cui alcuni desueti, e in uso in poche famiglie:

AULUSA
APPIUSAP
CAIUSC
CNAEUSCN
DECIMUSD
KAESOK
LUCIUSL
MARCUSM
MAMERCUSMAM (Emilii)
MANIUSM’, M (Acilii)
NUMERIUSN
PUBLIUSP
QUINTUSQ
SERVIUSSER
SERGIUSSERG
SEXTUSSEX
SPURIUSSP (inizialmente indicava un figlio illegittimo)
TITUST
TIBERIUSTI, TIB
VIDIUSV

In alcune famiglie aristocratiche si affermò la moda di adottare come praenomen un cognomen. Vediamo per esempio il caso di Germanico: prima di essere adottato da Tiberio, Germanicus era il cognomen, che diventò il praenomen in seguito all’adozione. A partire dal III secolo d.C., il praenomen spesso è omesso fino a che non sparisce del tutto.

La filiazione non serviva solo a scopi pratici, ma anche per distinguere gli omonimi e spesso l’indicazione della filiazione era anche un elemento di vanto personale. A seconda dell’ambiente e della classe, la presenza della filiazione aveva un peso  ed era un segnale importante perché richiamava le glorie familiari. In ambiente provinciale esibire la filiazione significava che già il padre o il nonno era un cittadino romano e la mancanza di questo elemento era visto come sospetto, perché esprimeva la volontà di  non voler dichiarare qualcosa; la filiazione del liberto, per esempio, doveva fare riferimento al proprio padrone.

L’editto di Caracalla del 212 d.C. concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero e la filiazione fu omessa.

Servio Tullio creò 4 tribù urbane, che presero il nome dai colli, dove la popolazione era distribuita in base al domicilio. Seguì poi la creazione di 17 tribù rustiche (con i nomi delle antiche gentes originarie esistenti o estinte), dove il criterio di appartenenza si fondava, oltre che sul domicilio, anche sulla proprietà fondiaria. I cittadini proprietari di un fondo erano iscritti nella tribù cui apparteneva il distretto rurale in cui era situato il fondo, mentre i nullatenenti erano iscritti nelle quattro tribù urbane.

Le tribù erano nate come ripartizione a scopo anagrafico ed elettorale e l’appartenenza a una tribù piuttosto che a un’altra era importante. Servio ne istituì 4 urbane e 17 rustiche e dopo la guerra sociale dell’88 a.C. l’iscrizione alle tribù fu estesa a tutti gli Italici. Nel corso del IV e III secolo A.C. furono create altre tribù. Le ultime risalgono al 241 a.C. e in totale erano 35 (4 urbane e 31 rustiche). L’appartenenza a una tribù era considerato un elemento tramandato di padre in figlio, così anche se qualcuno si trasferiva dalla campagna alla città, la tribù rimaneva la stessa.

In età imperiale nacquero le pseudo-tribù: al momento dell’arruolamento delle legioni, ogni legionario doveva fornire le proprie generalità, e molti che venivano dalle province, avevano idee vaghe sull’appartenenza a una tribù e dichiaravano tribù inesistenti. Ci sono una ventina di tribù nate in questo modo.

Il cognomen nasce per designare o il singolo individuo o la famiglia. Quando indicava la persona si poteva avere anche il doppio cognomen, per esempio SCIPIONE ASIDIO AFRICANO.

Il secondo cognomen è l’elemento più recente, nasce all’interno delle famiglie aristocratiche e si diffonde per imitazione anche nelle famiglie delle classi inferiori. Tra gli schiavi e i liberti, i cognomina erano necessari per capire di chi si stesse parlando e i cognomina dei liberti corrispondevano al loro nome da schiavi.

L’uso generalizzato del cognomen si ebbe a partire dalla dinastia Giulio-Claudia. Possiamo affermare che dalla metà del I secolo non c’era cittadino che non avesse cognomen.

La terminazione –ANUS poteva avere significati diversi: poteva indicare un’adozione (per esempio PUBLIO CORNELIO SCIPIONE EMILIANO), oppure poteva essere il gentilizio della madre, adottato per segnalare l’importanza della famiglia materna (per esempio MARCO PORZIO CATONE LICINIANO).

In epoca più recente diventò una regola che ogni persona avesse due gentilizi, uno del padre e uno della madre, e da quel momento diventò difficile capire se si trattasse di un gentilizio derivato da un’adozione o meno. In epoca imperiale, quando si diffuse l’uso dei POLIONIMI, ovvero l’accumulazione di più gentilizi da parte di un personaggio, diventò impossibile capire l’origine dei gentilizi, ma sono comunque utili perché aiutano gli storici a capire i rapporti familiari, la carriera militare e la ricerca prosopografica.

In età imperiale ai soldati si aggiunse anche un nome che si riferiva alla loro città di origine (nelle iscrizioni all’ablativo o al locativo); questo sistema però si scardinò in seguito all’editto di Caracalla e migliaia di cittadini assunsero il gentilizio dell’imperatore (Aurelii). Per questo motivo si iniziò a omettere o ad abbreviare il gentilizio, così come il praenomen e la filiazione e gradualmente si arrivò al sistema tardo-antico con un nome unico e il soprannome.

  • Onomastica della donna

La donna era in condizione di inferiorità, era esclusa dalla vita pubblica e aveva un ruolo subalterno. La formula onomastica della donna era limitata al solo gentilizio al femminile, ad esempio IULIUS => IULIA. Gradualmente si aggiunse il gentilizio del padre e poi del marito quando la donna si sposava. A partire dalla tarda età repubblicana, si aggiunse anche il cognomen per distinguere due sorelle.

  • Onomastica degli schiavi e dei liberti

Lo schiavo aveva un nome unico, che in molti casi era di origine straniera (greca, germanica o tracia) e in alcuni casi anche uno schiavo proveniente dall’Oriente poteva avere un nome greco. Spesso il nome dello schiavo era un nome latino, di solito un nome praescriptus, un nome augurale come FELIX o FORTUNATO, seguito dal nome del padrone al genitivo (per esempio PANPHILUS SERVILLI) e nelle forme più arcaiche compare anche l’indicazione del padrone (PANPHILUS SERVILLI M(ARCI) SERVUS). Uno schiavo poteva avere anche un doppio nome, nel caso fosse stato ceduto a un altro padrone.

Per i liberti la formula comprendeva quattro elementi, mancava la tribù e la filiazione era una specie di patronato (libertus invece di filius). A partire da Augusto fu stabilito che ogni liberto doveva avere il praenomen del padrone o dei padroni se il liberto era stato proprietà di più persone. Per lo schiavo di una donna era più complicato perché la donna non aveva praenomen, quindi si ricorreva a un praenomen fittizio, GAIA => GAIUS, che si indicava con una C rovesciata. Il liberto prendeva il praenomen del padre della padrona, mentre le liberte non avevano praenomen.

  • Onomastica degli imperatori

L’onomastica imperiale nacque con Augusto. Durante il suo impero si formarono gli elementi principali,  e nel I secolo si arrivò alla forma definitiva. Dopo la morte di Cesare si scoprì che Caio Ottavio era stato adottato ed era chiamato C. IULIUS CAESAR OTTAVIANUS; sappiamo comunque che prima di diventare imperatore usò pochissimo questo cognomen e si faceva chiamare Cesare. Nel 27 a.C. il Senato gli attribuì il titolo di AUGUSTUS (legato alla sfera religiosa) e nel 29 assunse IMPERATOR come praenomen da cui IMPERATOR CAESAR DIVI FILIUS AUGUSTUS; Caesar divenne un gentilizio per tutti gli imperatori successivi.

Sulla stessa linea si mossero gli imperatori successivi che mantennero come elementi fissi lo pseudo-gentilizio Caesar e il cognomen Augustus, che divenne sinonimo del potere imperiale e della tribunicia potestas.

Dal 66 d.C. in poi, a CaesarAugustus, si aggiunse un terzo elemento fisso: il praenomen IMPERATOR. Tiberio però, per esempio, non assunse come praenomen Imperator, ma Tiberius, e il suo nome da imperatore era TIBERIUS CAESAR AUGUSTUS. Lo stesso vale per Caligola che veniva chiamato con il praenomen GAIUS. Caligola aveva anche un secondo cognomen, legato alle vittorie della sua famiglia d’origine, derivato da uno dei popoli vinti, GERMANICUS.

Con Claudio la situazione cambiò: non poteva essere il praenomen a contraddistinguerlo perché sarebbe stato confuso con Tiberio e inoltre non era un Giulio, quindi restava Claudius e si fece chiamare TIBERIUS CLAUDIUS CAESAR AUGUSTUS (I cognomen) GERMANICUS (II cognomen).

Anche con Nerone la situazione era la stessa: poiché era stato adottato da Claudio, diventò un Claudio, trasformò Nerone in praenomen e si chiamò NERO CLAUDIUS CAESAR AUGUSTUS GERMANICUS.

L’unico elemento che distingueva Nerone dagli imperatori precedenti era il praenomen Nero. Dal 66 assunse anche il praenomen IMPERATOR.

Da Vespasiano in poi il nome si regolarizzò e tutti avevano gli elementi fissi Imperator e Caesar, per esempio Antonino Pio si chiamava IMPERATOR CAESAR TITUS ANTONINUS. 

La formula però si complicò perché al nome dell’imperatore furono aggiunti epiteti elogiativi: PIUS = giusto nei confronti della divinità e della famiglia, FELIX = fortunato, protetto dagli dèi e INVICTUS = mai sconfitto, vittorioso.

Questi epiteti si collocavano come cognomina prima di Augustus; Invictus veniva collocato dopo Augustus nei casi in cui era decretato in seguito a un trionfo (cognomina trionfali).

A partire da Marco Aurelio e Lucio Vero si cominciò a usare l’appellativo MAXIMUS.

La formula degli imperatori si dilatò nella filiazione, poiché era importante per un imperatore manifestare la propria legittimità e sottolineare la continuità con i predecessori divinizzati. In queste genealogie si doveva ricorrere a termini sottili per distinguere il grado di parentela e compaiono i termini PRO NEPOS, AB NEPOS, AD NEPOS.

La formula di un singolo imperatore diventò lunghissima e difficile da leggere. Per esempio Settimio Severo, per mettere le mani sul patrimonio degli Antonini, si inventò di essere stato adottato da Marco Aurelio e si faceva chiamare IMPERATOR CAESAR DIVI MARCI ANTONINI PII NEPOS, DIVI TRAIANI PARTICI DIVI NERVAE AB NEPOS LUCIUS SETTIMIUS SEVERUS.

L’erede designato presentava il termine CAESAR come cognomen, anziché come gentilizio; poi, quando assumeva la tribunicia potestas e il titolo IMPERATOR come praenomen, allora CAESAR diventava un gentilizio e assumeva AUGUSTUS come cognomen.

Nelle iscrizioni, dopo le formule onomastiche, erano indicate varie cariche, tra cui PATER PATRIAE, PONTIFEX MAXIMUS e il numero dei consolati rivestiti; dopo il consolato erano elencate le acclamazioni imperatorie, una per ogni vittoria (molto utili per datare le iscrizioni e le monete) e infine le tribuniciae potestates.

La tribunicia potestas  era  conferita quando qualcuno diventava imperatore ed era rinnovata ogni anno. Per tutto il primo secolo era rinnovata nell’anniversario della prima concessione, poi prevalse l’uso di rinnovarla il 10 dicembre, giorno in cui entravano in carica i tribuni della plebe.

Stele_cornelius

Stele funeraria con i ritratti di due fratelli della Gens Cornelia (inizio I secolo d.C.), Civico museo archeologico di Bergamo, CIL V 5154

C(aius)= praenomen, Cornelius = nomen o gentilizio, C(ai) f(ilius) = filiazione o patronimico, Vot(uria) = tribù, Calvos = cognomen


Epitaffio di un commerciante,  Roma (Museo Nazionale delle Terme, CIL VI 33887

M(arco) = praenomen,  Antonio = nomen,  M(arci) filio = filiazione,  Claudia = tribù

CIL VI 33887

CIL I2 623

Iscrizione onoraria sull’abaco di una colonna di marmo che doveva sostenere la statua di M. Claudio Marcello, che fu console tre volte, Museo archeologico di Luni, CIL I2 623

M(arcus) = praenomen, Claudius =nomen,  M(arci) F(ilius) = filiazione, Marcelus = nomen


Iscrizione sulla base della colonna di Traiano, Foro Traiano, Roma, CIL VI 960

Senatus populusque romanus Imp(eratori) Caesari divi Nervae f(ilio) Nervae Traiano Au(gusto) Germ(anico) Dacico, pontif(ici) maximo Trib(unicia) pot(estate) XVII imp(eratori) VI co(n)s(uli) VI p(atri) p(atriae)

Il Senato e il popolo romano all’imperatore Cesare, figlio del divino Nerva, Nerva Traiano Augusto Germanico Dacico, pontefice massimo, investito della tribunizia potestà 17 volte, imperatore per la sesta volta, console per la sesta volta, padre della patria

Imp(eratori) Caesari = termini fissi (Imperator = praenomen, Caesar = pseudo-gentilizio)

divi Nervae f(ilio) = filiazione

Nerva Traiano = nomen

Augusto = cognomen

Germanico Dacico = titoli

CIL VI 960

Bibliografia:

I. Calabi Limentani, Epigrafia latina, Cisalpino

https://wiki.eagle-network.eu

https://epigraphy.osu.edu

RELATED POSTS

NEWS

DOWNLOAD

Questo sito web utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza. Navigando su questo sito web accetti la nostra Privacy policy.

Non puoi copiare il contenuto di questa pagina