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Pisa nel Medioevo

Pisa nel Medioevo
Nicoletta Pagliai

Il calo demografico dell’Alto Medioevo provocò anche a Pisa una notevole riduzione dell’antico suolo urbano e il perimetro murario era circa la metà di quello dell’età antica. Purtroppo di queste mura non è rimasta nessuna traccia, ma sue testimonianze sono rintracciabili nelle fonti precedenti al 1155, anno in cui inizia la costruzione della cerchia muraria di età comunale, sulle porte urbane e nelle carbonaie.

Nel corso dell’XI secolo, l’immagine della città cominciava ad assumere caratteristiche proprie: a est era sorto il borgo di Foriporta, il più densamente popolato e ricco di insediamenti ecclesiastici, e a ovest la zona più rurale di Catallo, dove si trovavano i principali edifici sacri della città.

Le zone più popolate erano la fascia lungo il percorso dell’Arno, in particolare il borgo di San Vito e la riva sinistra dell’Arno, di fronte alla civitas, grazie all’incremento demografico costante, che determina il progressivo dilatarsi dell’abitato oltre le vecchie mura urbane. Un’altra espansione si verificò nei primi decenni del XII secolo, quando si sviluppano zone fino ad allora marginali.

Nell’XI secolo, la sede del potere, che nell’alto medioevo si trovava nel cuore della città presso la chiesa di San Pietro, nel presunto sito del Foro Romano, si spostò per un breve periodo in zone più periferiche ma, grazie alla fondazione del tempio civico di San Sisto e alla costruzione della nuova cinta muraria, che fissava definitivamente i confini della città comunale, il centro politico e amministrativo ritornò nell’area che per secoli era stata il cuore della vita pubblica cittadina.

Nell’XI secolo, Pisa intraprese anche un’intensa opera di espansione volta al controllo politico ed economico della Maremma tra i fiumi Cecina e Bruna, della Corsica e della Sardegna, un predominio che si espresse anche in campo ecclesiastico: nel 1091 il vescovo di Pisa ottenne dal papa il diritto di rappresentarlo in Sardegna e la promozione ad arcivescovo nel 1092 con la giurisdizione sui vescovadi della Corsica.

Nel 1138 la metropoli ecclesiastica pisana era costituita da tre diocesi corse, due sarde (Galtellì e Civita) e da quella toscana di Massa Marittima, cui si aggiunse la primazia sull’arcivescovado sardo di Torres.

Gli interessi commerciali e marittimi pisani si svilupparono anche in Africa settentrionale, dal Marocco all’Egitto, e si estesero al Mediterraneo orientale, con la partecipazione alla Prima Crociata nel 1099 e la nascita di magazzini a Costantinopoli e sulla costa siriano–palestinese.

Dalla fine dell’XI secolo la città organizzò la propria autonomia comunale (la prima menzione dei consoli risale agli anni 1080–1085), che raggiunse la pienezza nel corso del secolo successivo.

Gli anni Sessanta del XII secolo rappresentarono un decennio fondamentale di programmazione politica che prevedeva la riorganizzazione del contado, la codificazione delle leggi e del diritto consuetudinario e marittimo e la creazione di un nuovo ordinamento giudiziario e amministrativo della città.

Nel 1161 venne anche fondato da parte dei consoli il primo palazzo del Comune, intorno a cui si concentrò tutta l’edilizia pubblica nel Duecento. Tra i palazzi più importanti ricordiamo il palazzo del Podestà, il palazzo degli Anziani, l’odierna sede della Scuola Normale Superiore in piazza dei Cavalieri e il palazzo del Capitano del Popolo.

A ovest, sulla riva dell’Arno, i consoli fecero costruire anche una darsena.

Il XII secolo rappresentò l’età d’oro della città, grazie al predominio su Sardegna e Corsica, al controllo del Mediterraneo occidentale e al monopolio commerciale di tutta la Toscana. L’area pisana era quindi un centro portuale con raggio d’azione internazionale, e il porto aveva una grande importanza sia come scalo commerciale sia come tappa per viaggiatori e pellegrini diretti a Roma, a Gerusalemme, verso la Francia meridionale e Santiago di Compostela.

A partire dal 1200 Pisa instaurò stretti vincoli con l’imperatore Federico II, ma con la morte del sovrano alla fine del 1250 si avviava al tramonto l’ultimo grande periodo di potenza e fioritura economica di Pisa.

In Toscana ormai emergeva Firenze, e Genova, l’eterna nemica, era uscita rafforzata dal lungo confronto con Federico II, mentre si affacciava sul Mediterraneo la nuova potenza degli Aragonesi, il cui ruolo sul mare sarebbe ben presto divenuto preminente ed egemone. Pisa dunque era ormai destinata a un ruolo sempre più marginale, limitato all’area tirrenica e all’Africa settentrionale.

Nell’ultimo ventennio del XII secolo si ebbero forti dissensi interni del ceto dirigente cittadino per la formazione delle fazioni che segnarono anche tutto il secolo successivo, capeggiate dai Visconti e dai Della Gherardesca, due tra le più ricche e potenti famiglie borghesi, causa di scontri originati da legami personali, forme di clientela e di dipendenza individuale, i cui effetti, il ceto dirigente, tendenzialmente oligarchico, non fu in grado di evitare.

Da un lato, la classe dirigente tendeva sempre più a riservare a se stessa l’esercizio effettivo del potere, dall’altro i vari tentativi di signoria non nascevano solo dall’ambizione politica di alcuni personaggi ma rispondevano all’esigenza dei nuovi ceti mercantili e artigiani, desiderosi di partecipare alla gestione del potere.

E infatti dall’ultimo ventennio del Duecento Pisa aveva cercato soluzione alla crisi istituzionale e politica attraverso esperimenti signorili, affidati a personaggi esterni, come i Montefeltro o Uguccione della Faggiola, ma anche a cittadini come i conti di Donoratico (1316-1347), i Dell’Agnello (1366-1368) o i Gambacorta (1369-1392), intervallati dalla ripresa del normale assetto istituzionale.

La disfatta navale subita da parte dei Genovesi il 6 agosto 1284 nelle acque della Meloria, fu per Pisa una grave sconfitta anche se non così decisiva e determinante come si è a lungo pensato, ma la permanenza per quindici anni, fino alla pace del 1299, di più di novemila uomini nelle prigioni genovesi, provocò immaginabili effetti sulla demografia cittadina.

A segnare la fine della potenza marittima di Pisa fu la perdita della Sardegna, la principale risorsa finanziaria del Comune pisano, conquistata dagli Aragonesi tra il 1324 e il 1326. Perso il più importante caposaldo del proprio dominio nel Mediterraneo occidentale, Pisa, ormai ridotta al rango di potenza tirrenica, dovette accontentarsi della funzione portuale di grande collettore dei mercati dell’Italia centrosettentrionale. La città cercò di conservare tale posizione attraverso un lento ma progressivo processo di declino, interrotto da brevi momenti di ripresa.

In lotta perenne con Lucca, Firenze e Volterra, i suoi confini erano molto fluttuanti avendo come castelli contesi quelli di Buti, Palaia, Peccioli e la Val d’Era, Montopoli (fino al 1349), Laiatico, Chianni (fino al 1325), Santa Maria a Monte, Pontedera, Vecchiano.

Le principali roccaforti erano la rocca della Verruca, presso Calci, che faceva da caposaldo del sistema difensivo montano sul confine lucchese che correva dall’antico lago di Bientina al Serchio con i castelli di Caprona, Vicopisano, Asciano, Agnano, San Giuliano.

Sulla via fiorentina a sbarrare l’accesso verso Pisa c’era il castello di Cascina, teatro di importanti scontri con i fiorentini (per esempio la battaglia di Cascina nel 1364), mentre Castelnuovo in Val di Cecina fu conteso a lungo da Volterra.

La politica espansionistica e conquistatrice di Firenze, allargata a tutta la regione con la conquista di Pistoia nel 1331 e di Arezzo nel 1380, si faceva sempre più vicina con la sottomissione di Volterra nel 1361 e di S. Miniato nel 1370.

Pisa e il suo territorio erano ormai seriamente minacciati e la fine della libertà sempre più vicina: il cerchio si stringeva intorno alla città.

Vista la gravosa situazione economica e politica dell’ormai decadente Repubblica, il 13 febbraio 1399, il signore di Pisa Gherardo Leonardo d’Appiano cedette la città e il contado per la cifra di 200.000 fiorini d’oro a Gian Galeazzo Visconti del ramo pisano dei Visconti, per farsi signore di Piombino ed ottenere la nomina a conte palatino.

Il controllo della Repubblica da parte dei Visconti durò poco, infatti Pisa mantenne la sua indipendenza e il dominio sulla costa toscana fino al 1406, quando fu occupata dai mercenari Angelo Tartaglia e Muzio Attendolo Sforza che disposero l’annessione alla repubblica fiorentina.

Con la dominazione fiorentina iniziò un declino inarrestabile della città e alcune delle più importanti famiglie pisane, per sfuggire alla morsa fiorentina, emigrarono all’estero o in altri Stati italiani, in particolare in Sicilia.

A Palermo a partire dai primi anni del XV secolo, si trasferirono così gli Alliata, i Vanni, i Caetani, i Damiani, gli Agnelli, i Corvini, i Bonanni (poi anche in Abruzzo), gli Upezzinghi, i Galletti, i Da Settimo, i Gambacorti (prima a Napoli), i Palmerini, i del Tignoso, i Vernagalli, i Mastiani, i Pandolfini, i Grassolini, i da Vecchiano, i Bernardi, e molte altre famiglie. Firenze fu scelta dai Della Gherardesca, i Compagni, i Caetani, mentre a Roma si trapiantarono i Lante, i Roncioni, gli Angeli, i Campiglia Ceuli.

Bibliografia:

Marco Tangheroni (a cura di), Pisa e il Mediterraneo. Uomini, merci, idee dagli Etruschi ai Medici, Skira, 2003

Mitterauer, J. Morrissey, Pisa nel Medioevo. Potenza sul mare e motore di cultura, Viella, 2015

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